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News del: 23/07/2015
Autismo, il cibo non è una discriminante
Autismo, il cibo non è una discriminante
La selettività alimentare non influenza la gravità della patologia
Il rifiuto di alcune categorie di cibo non ha effetti sull’intensità dei sintomi a carico di un bambino autistico. Non si registrano infatti differenze a livello di quoziente intellettivo o di abilità generali. A dirlo è uno studio dei ricercatori del Bambino Gesù di Roma, che hanno pubblicato sulla rivista Appetite gli esiti della loro ricerca. La selettività alimentare è effettivamente un problema assai diffuso fra i bambini autistici, presente più o meno nel 50 per cento dei casi. Si tratta di una percentuale molto superiore a quella che interessa la popolazione pediatrica generale, dove si attesta al 30%. I bambini autistici tendono a selezionare gli alimenti in base alla loro forma, al colore e alla consistenza, trasformando molte volte il pasto in un momento davvero difficile. I ricercatori italiani hanno deciso di dedicare uno studio proprio a questo particolare aspetto, indagando le differenze fra bambini autistici con selettività alimentare e senza. Lo studio ha riguardato 158 bambini e ragazzi fra i 3 e i 18 anni con sindrome dello spettro autistico, la metà dei quali aveva abitudini alimentari particolari. La ricerca ha coinvolto anche i genitori. Lo studio ha evidenziato una mancanza di differenze cliniche o comportamentali fra bambini autistici selettivi e non selettivi. La selettività, invece, incide in maniera evidente sulla percezione che i genitori hanno della gravità della malattia del figlio. I bambini selettivi vengono ritenuti più problematici rispetto agli altri, e di conseguenza vengono trattati in maniera diversa. I ricercatori intendono ora sviluppare nuove modalità di trattamento destinate proprio alle famiglie con bambini autistici selettivi. Nella seconda fase dello studio i medici hanno infatti come obiettivo il “parent training”, la messa a punto cioè di una serie di tecniche comportamentali da insegnare ai genitori per aiutarli a gestire il momento del pasto, alimentando così nel migliore dei modi il proprio bambino e abbassando al contempo il loro stesso livello di ansia e preoccupazione nei confronti della patologia.
Fonte: italiasalute.it
di Andrea Piccoli
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